Appena sceso dal treno alla stazione Mediopadana, mi era venuto in mente che a Reggio non sarei potuto passare inosservato e trascorrere una piacevole settimana per i cazzi miei. Avevo in tasca la sua carta di credito, e questo mi rendeva felice per certi versi. Casomai avrei potuto benissimo andarmene in quell’alberghetto appena in fondo alla Via Emilia senza problemi, o nell’altro nella piazzetta dietro ai Teatri, e passare un mucchio di tempo a fare shopping  o starmene in camera a scrivere, a leggere, a cazzeggiare.

Mentre scendevo dal taxi in Piazza del Monte mi resi conto di quanto questa città puzzasse di naftalina; tutto sapeva  sempre di vecchio e nell’aria si annusava quell’odore stantio di muffa e piscio. Anche quel gruppetto di ragazzini che mi fissavano seduti sul muretto, sembravano averlo capito; e stavano lì infelici come maialini al macello. Uno di loro sembrò persino dirmi qualcosa, e fors’anche lanciarmi uno sguardo di sfida; ma mi sono detto, non puoi sempre fare quello che ti pare e andare dove ti pare, la vita non funziona così e questo era uno di quei momenti in cui non hai scelta. Allora m'incamminai verso piazza del Duomo. 

Mi spinsi nelle orecchie i tappi dell’auricolare collegato all’iPhone che tenevo nella tasca posteriore dei jeans; avevo bisogno della mia musica a palla e intanto pensai: se dovevo fare questa cosa, la volevo fare sanguinando.

Mezz’ora dopo varcai il portone di casa sua preso un po’ dal panico, ma lo varcai. Sarebbe stato bello farlo di nuovo e dormire con lui, e saperlo accanto. Forte di questa certezza, salii di corsa le rampe di scale.

E mi lasciai attraversare da questo definitivo annientamento di noi e del nostro amore, da cui non saremmo più riusciti a liberarci.