A lui piace sedersi all’ombra di quel vecchio cipresso, soprattutto nelle afose giornate di luglio inoltrato, quando la terra scotta e l’acqua è brodo per topi.

Ci viene per ricordare, per quello strano e recondito desiderio di ricordare l'altro che ora non ha più. E tutte le volte che si siede su questo loculo di pietra d'ardesia, volta il capo dalla parte opposta chiudendo lentamente le palpebre.

Lui è ancora giovane, e bello. Di quei belli che possono piacere sia agli uomini sia alle donne, quelli che hanno dalla loro nello sguardo lo splendore della resurrezione. E quando è qui, e con quel fare leggero accarezza la lapide e si spechia negli occhi vitrei di quell'immagine di ceramica, lui capisce e sente allora l'interezza della propria vita abissalmente separata dai grandi accadimenti del vivere e del morire.

Lui è già morto e risorto in quegli occhi per tutto questo maledetto tempo passato senza l'altro. Il suo stare male al mondo o il suo essere felice, il suo vagabondare, i suoi sensi di colpa tatuati in ogni parte del corpo, tutto si è svolto e si svolge nella polvere azzerante del palcoscenico della vita, in un teatro vuoto di spettatori paganti.