
IN VIAGGIO VERSO LA CASA
CAPITOLO 2
La casa s'intravede appena dalla strada sterrata sull'argine. È in fondo a un viottolo erboso, nascosta tra i pioppi. I due amici fermano il suv nello spiazzo di terra più vicino, e scendono. Si trovano davanti un cancello aperto e rugginoso. Su un pilastro si nota una vecchia targa di terracotta con incisa in bassorilievo una scritta in carattere corsivo: Domus mea, inde gloria mea. Sandro si ferma a leggere. Poi dà un'occhiata all'amico.
«Mio nonno, il padre di mio padre. Era un uomo semplice, religioso, bigotto direi...» gli dice Giacomo. «Sembra che non saltasse una messa mattutina».
Proseguono, e insieme avanzano in mezzo a un viottolo di erba che si apre debolmente in mezzo a una giungla di arbusti e fiori spontanei. La casa è a due piani. Una via di mezzo tra l'abitazione colonica e la villa padronale. Da com'è ridotta tutta la proprietà, a Sandro viene facile pensare che sia disabitata da molto tempo. Per un garbo istintivo non chiede però conferma all'amico; lo vede smorto, che si guarda attorno sconcertato come in un piano sequenza lento e impietoso di un film. Giacomo non è tuttavia per niente interessato alla casa, lì fermo a pochi passi dall'amico.
Vedendo quella desolazione, in realtà pensa ai suoi cinquantatré anni; a come sono stati brevi, eppure pieni di cose. Molti anni prima, un giorno si era chiesto quando e come ci si accorge di essere diventato vecchio. Prima di allora i ricordi erano solo immagini lontane, più o meno sbiadite, una scia di eventi senza peso; ma dopo quel giorno erano diventati tutt'altro, qualcosa di difficile da definire, a metà tra la consolazione e la rassegnazione. Esci dalla sua vita più in fretta che puoi, Sandro gli ha detto qualche giorno prima, la convalescenza sarà lunga, ma sempre più breve dell'infinita agonia di rimandare. Allora ha provato in prima persona lo smarrimento e l'impotenza che tagliano le gambe, e ti fanno sentire così vulnerabile.
Sandro gli piace veramente. È difficile però in questo momento per Giacomo delineare con distacco i tratti della personalità di quel ragazzo. Subito pensa al dolore che il giovane amico gli ha confessato di aver provato alcuni anni prima per la scomparsa del padre, al quale era legato da un ruvido e competitivo affetto. E ora in questo luogo abbandonato della sua infanzia, in questa sua particolare predisposizione d'animo, riconosce al giovane amico una capacità straordinaria di definire situazioni e sentimenti con una lucidità fuori del comune, che si lascia tuttavia graffire dalla ironia e dalla malinconia. La sua è una generosità limpida, priva di arroganza; che chiede e pretende in prestito alla grazia dei suoi gesti le aperture sincere che costituiscono la trama più vera, segreta dei suoi sentimenti. È l'amore vicendevole e forte!
«Un tempo sentivo di più gli odori» dice Giacomo all'improvviso, spezzando il filo dei ricordi e cercando di mettere a fuoco la realtà. «Non è strano? Sentivo persino l'odore dell'aria, della pioggia, del caldo. Adesso non sento più nulla, dev'essere l'atmosfera che non è più la stessa... Non sento più gli odori.»
«Fumi troppo!» butta là Sandro.
«È tutto così complicato...» sospira invece Giacomo. «Una volta era tutto più semplice.»
Il sole, ora, sembra più caldo. Anche la luce che filtra tra i pioppeti sembra più forte che di mattina presto, quando sono arrivati. E l'ombra che si proietta sulla casa ha una fastosità scenografica, a tratti inquietante. Di colpo i due amici si ritrovano uno di fronte all'altro; si guardano per un attimo. C'è una strana sensazione che li pervade, lo avvertono entrambi. Avvertono persino il loro respiro. È più una sensazione che una certezza. Lo sentono con la pelle, con tutto il corpo. Possono abbracciarsi, se volessero. Ma non succede.
«Ho sempre pensato che io e lei fossimo la coppia perfetta» dice Giacomo, ravvivando il sigaro che tiene da un po' sospeso tra due dita della mano sinistra.
«Be'» ribatte Sandro, girandosi verso la casa. «Forse lo eravate davvero. Adesso non lo siete più. Punto!»
Poi scatta diverse foto al porticato.
«Direi che è ridotto proprio male» afferma Sandro. «Il portico è tutto andato, è un pericolo...» ribadisce, e si gira verso Giacomo. «Dico a te, hai sentito?»
Veramente Giacomo è concentrato altrove. Sta pensando alla notte prima, quando non riusciva ad addormentarsi, e sentiva Sandro che gli respirava accanto; e là, abbracciato a quel corpo, ricordava quella sera in cui la moglie gli aveva fatto tanta pena, in cui aveva provato una profonda compassione per lei, per lui e per tutto il mondo. E ora che è qui, in questa casa che lo ha visto nascere, ha di nuovo la sensazione di un'assoluta mancanza di senso, triste e liberatoria a un tempo. E pensa che non avrebbe mai provato altro che questa compassione, questo senso di comunione con tutto. In lontananza, appena oltre l'argine le macchine e le moto di passaggio rompono il silenzio di quel luogo.
«Oh, Giacomo, se non prendiamo neppure una misura, cazzo ci siamo venuti a fare?» dice Sandro, buttando là quella frase con leggero astio. E si siede sul bordo del muretto d'ingresso del porticato. «Me lo dici? Mi è venuta anche fame.»
«Hai ragione!» ribatte Giacomo. «Siamo troppo diversi, io e Greta . Non lo so nemmeno io, forse...»
«Va be', ho capito, torniamocene a Milano» dice Sandro alzandosi più annoiato che arrabbiato. «Ho capito.»
Raccoglie lo zaino sul selciato, e si allontana dal porticato.
«Vieni?» dice passandogli accanto.
«Non so, forse sto drammatizzando» risponde Giacomo.
Sandro si ferma, e si volta a guardarlo.
«Ecco questa è la prima cosa sensata che ti sento dire stamattina.» Poi insiste: «Semplicemente non siete più fatti per stare insieme, tutto qui! Ce ne andiamo, o no?»
«Sì, andiamo...» gli risponde Giacomo, «sì, è proprio tempo di andare.»
All'improvviso vede la casa con una precisione stereoscopica. Come non l'aveva vista prima. E si sente come da ragazzino, quando andava al luna park in veste di spettatore passivo e divertito, aspettando per tutto il tempo con segreto terrore il momento in cui i suoi compagni più turbolenti lo avrebbero trascinato sulle montagne russe.
«Non ho la sensazione di essere originario di qui» dice a stento. Poi prosegue: «Non riesco a immaginarmi nulla. Né come mio nonno ci abbia vissuto. E neppure mio padre. Pensavo che qui ci fosse qualcosa. Ma invece è tutto così dannatamente estraneo. E tu...» rivolgendosi all'amico più avanti, «ho bisogno di sentirmi a casa da qualche parte, con qualcuno.»
Sandro si ferma di nuovo, è quasi al cancello; ha un attimo di incertezza. Torna indietro, lo guarda dritto negli occhi senza aprire bocca. Anche Giacomo non osa intervenire. Poi Sandro lo stringe forte a sé. E lo bacia sulla fronte.
«Andiamo che ho fame...» gli dirà subito dopo. E si incammineranno verso l'uscita tenendosi per mano con le dita intrecciate. Prima di varcare la soglia, però, Giacomo si volterà di nuovo a guardare la casa, e con la convinzione di farlo per l'ultima volta.
Quindi accosterà il cancello rugginoso.