
IN VIAGGIO VERSO LA CASA
CAPITOLO 4
Qualche mese dopo Sandro rientra stancamente al suo residence nel centro di Milano. Sono le nove di sera. È visibilmente affaticato. Oltre le vetrate del pianerottolo scorge una serie di lampi che annunciano un temporale. Il cielo è ancora più scuro. Si dice che le notti diventano così nere prima di un terremoto, pensa di colpo vedendosi riflesso nell’ampia vetrata.
Tutto a un tratto si vede invecchiato; e con sgomento, in flagrante delicto con se stesso, nota che il suo sguardo da gatto sornione non è più quello di una volta. Indietreggia, e si trova immobilizzato contro la ringhiera in ferro battuto della rampa di scale.
Gli viene voglia di telefonare a Giacomo; ha una contrazione del labbro. Già… Giacomo. Ha bisogno di tempo, pensa, e di stare solo, per curare a suo modo le ferite. Non c’è bisogno di stargli addosso. Giacomo sarebbe tornato, sarebbe tornato da lui per sempre.
Quando Sandro è sotto la doccia fuori comincia a grandinare.
I tetti e i muri rimbombano. I vetri delle finestre sembrano rompersi e i colpi delle palline di ghiaccio contro il lucernario del bagno provocano un rumore sordo, esasperante.
Poco dopo Sandro s’infila l’accappatoio; va verso la finestra della camera da letto, e guarda fuori. Vede la strada coprirsi rapidamente di bianco. Le macchine avanzano con cautela e le tracce lasciate dalle ruote vengono coperte subito da un nuovo strato di grandine. Per alcuni istanti ha un attimo di turbamento. Sospira, si stringe nell’accappatoio di ciniglia bianco, ha voglia di abbracciarsi. Si ricorda di quel venerdì sera di qualche mese prima, e della telefonata.
«Pronto?» gli diceva la voce di Giacomo.
«Perché non mi hai più chiamato?» protestava lui senza preamboli.
«Ho provato due volte, ma non…» si giustificava l’altro.
Il pensiero esplode di colpo come lo split del flashback in un film noir, procurandogli dentro il rumore amplificato di una porta che sbatte. Istintivamente si gira.
Perché in quel modo, senza alcuna spiegazione… perché?
Da quel venerdì sera Sandro continua a farsi la stessa, identica, insistente domanda; e a darsi nessuna risposta.
All’improvviso decide di uscire. Si veste in tutta fretta, s’infila il giubbotto in pelle nera, e chiude la porta alle spalle; dentro di lui risente lo stesso rumore amplificato di prima.
Guida a tutta velocità; ha smesso di grandinare e rimane una pioggia fine, silenziosa. Mucchi di grandine si sono accumulati sui margini dei marciapiedi, le strade sono sporche di fango e foglie morte. Milano è deserta, quasi spettrale. E lui in questo momento, si sente dentro come in un day after catastrofico e letale che gli ha raso al suolo l’anima.
Di colpo Sandro risente la voce di Giacomo, là quella volta a casa sua. E la memoria schizza via, come la macchina da presa nel film di prima, e va effettivamente lontano da lì verso quella stanza…
«Ti ho cercato» gli diceva. «Non sai quanto.»
Sandro lo stringeva a sé, nel farlo gli si alzava la camicia scoprendogli un poco la vita, e lo accarezzava con l’indice destro, e lo sentiva rabbrividire, gli sbottonava lentamente la camicia, e gli posava la mano sul ventre. Ne sentiva il respiro, i battiti regolari del cuore, il tepore della pelle al contatto con la sua. Poi la faceva scendere, quella mano, e bruscamente la infilava nei pantaloni, e con la punta della dita gli accarezzava i peli del pube… Di colpo Giacomo si ritrasse, e lo guardò dritto negli occhi.
«Per favore, Sandro...»
Sandro la sfilava, allora, quella mano. Sulle dita gli restarono le ultime tracce dell’odore di Giacomo, e il calore e le pulsazioni del suo corpo.
Le stesse dita che ora Sandro si passa sulle labbra screpolate, alla ricerca di quelle ultime tracce per dissetare il suo desiderio dell’altro. E ne rivede l’espressione rapita, il corpo nudo buttato sul letto, gli occhi, le mani, il sesso, i piedi, come le stelle di una costellazione su una carta astrologica... Gli si inumidiscono gli occhi, è costretto ad accostare il suv.
La sua mano resta sospesa nell’aria. Lo sguardo fisso davanti a sé. Il vetro del parabrezza pieno di gocce di pioggia, fine, silenziosa, insistente. E resta lì, in silenzio, tra il ricordo e il buio della strada. Tutto a un tratto si apre lo sportello.
« Salut!» gli dice il giovane – un ragazzo sui vent’anni – che all’improvviso s'infila in auto lanciando il blouson griffato in cotone beige sul sedile posteriore. Indossa una polo bianca, jeans strappati e stivaletti alla caviglia. Nella parte interna dell’avambraccio ha tatuato il volto di Marilyn Monroe: "come Megan Fox", gli aveva risposto la prima volta, quando Sandro non aveva potuto fare a meno di notarlo. Poi si allunga verso Sandro, e sicuro di sé lo bacia sulla guancia.
«Aspettavo che arrivassi…» gli sussurra un istante dopo, cominciando a leccargli l’orecchio e a sfiorargli il sesso con la punta della dita. Quella mano che, quasi subito, glielo stringe dolcemente. Sandro fa un respiro profondo.
«Mi porti da te?» gli chiede con un filo di voce.
Sandro dice niente. Mette in moto, e parte; e il suv scompare nella notte piovigginosa.
Sandro non ha però il coraggio di portarlo nel suo appartamento. Ora si sente addirittura in colpa. È quasi come violare il suo letto coniugale, il suo spazio più privato. La voce di Giacomo è ancora lì; silente, ma sempre lì.
Continua a girare in macchina, e intanto il ragazzo gli parla, e gli racconta della sua giornata e della vita in generale, di quanto sia stancante posare tutto il giorno per un servizio fotografico. Siamo pagati, gli dice, per simulare attrazione e amore, e invece c’è un senso di solitudine schiacciante nel farlo, perché nessuno ti conosce, eppure tutti dicono di conoscerti, e da te pretendono sempre solo il meglio dal tuo aspetto. Di te, come persona, frega un cazzo a quei fotografi bastardi o agli altri con cui puoi avere a che fare; dei tuoi conflitti interiori, della tua insicurezza fisica e della sensazione di non essere accettabile... In realtà nessuno che fa il nostro mestiere, sospira, ha dei veri amici e si sente spesso solo, disperato, assediato.
«Facciamolo ti prego, lo sai che mi manchi…» sbotta alla fine il ragazzo, quasi implorandolo con lo sguardo, e con la voce.
Anche questa volta Sandro non dice una parola. Si dirige di colpo verso uno di quei quartieri semideserti dove andava una volta a marchette, e si ferma in una strada solitaria e scura. Si baciano in fretta. Il ragazzo si abbassa i jeans senza sfilarseli, sotto è nudo. Si volta dandogli le spalle, e Sandro cerca di penetrarlo. Non ci riesce. Il ragazzo si alza tenendosi al cruscotto per assecondarlo meglio. Sandro gli mormora di togliersi i jeans. Il ragazzo se li sfila. Sandro lo bacia sui capezzoli, e scende con la bocca lungo il torso. Lo fa sedere a cavalcioni sulle gambe e lo solleva prendendolo da sotto le ascelle. Comincia a sudare. Quando lo sta per penetrare, Sandro si blocca. Si guardano l’un l’altro.
Il ragazzo annuisce. Si scosta respirando agitato, e rimane inginocchiato sul sedile. Gli prende il sesso con la mano destra, gli sfila il preservativo e inizia a succhiarlo. Sandro finalmente reclina la nuca e gli accarezza i capelli, poi la schiena, poi ancora più giù. Vorrebbe chiedergli scusa, anche se non ha nessun motivo per farlo.
Dopo chiude gli occhi, e pensa a Giacomo. Pensa all’ultima volta che lo hanno fatto insieme. E finalmente si lascia andare…