
UN ATTIMO FIGURATO
CAPITOLO 5 (PRIMA ANCORA)
Dopo la telefonata di Clara, quella estate di sette anni prima nel piazzale dell'autogrill, Nico e Roy ci sono andati a Roma. Montano nel Cinquecentino rosso cabrio di Nico e via... verso la caput mundi.
Alle dieci di sera sono seduti sul muretto della fontana del Bernini in Piazza di Spagna, ai piedi della scalinata più famosa del mondo. Poco dopo mezzanotte, si sistemano nel letto a castello vicino alla finestra, in uno dei dormitori misti dell’Ostello Des Artistes nei pressi della Stazione Termini.
Piu tardi, Roy sente crescergli dentro in modo vibrante la presenza dell’amico che dorme sulla rete superiore, e vorrebbe salire e sdraiarsi accanto a quel corpo che gli toglie il sonno; e sfiorarlo con le dita e percorrerlo dalla testa ai piedi, e poi fermarsi là. Chiude gli occhi, e immagina tutto questo, e un sorriso di pace gli distende le labbra.
A un certo punto s’inarca nel letto a castello e allunga un braccio verso l’alto, e con la mano tasta nel buio, alla ricerca di quel contatto fisico, di quella prova, di quella complicità. Sente un piede, è grande e scultoreo, lo accarezza, avverte la morbidezza di quella pelle, la secchezza di quelle dita, la tensione di quelle caviglie. Nel frattempo ha iniziato a toccarsi con l'altra mano, e raccolto in quella posizione sente il suo sesso stretto nei jeans che ha ancora indosso; lo sente indurirsi, sente l’avvicinarsi di un desiderio forte e impellente, un’erezione trattenuta, indistinta.
“Dacci un taglio Roy, dormi!” gli dice Nico con voce calma ma che non ammette replica, soffocando sull’istante l’accadimento di quei gesti.
E Roy capisce. Capisce che deve farsi coraggio. La sua attrazione è certamente fisica, ha a che fare con la bellezza del corpo dell’amico, la voglia di sesso, ma è anche altro, molto altro ancora. E lui adesso lo ha finalmente compreso, e ne ha paura.
Più avanti nel tempo, con grande sconcerto e dolore, un giorno realizzerà anche, e definitivamente, che l’amore non può essere che unico, e racchiude in sé Nico, e il suo ricordo, e ogni cosa di là da venire. L’amore è totalità e pienezza, dirà all’amico quello stesso giorno, non si può comandare, accelerare, evitare, guidare... Sarebbe tornato ogni volta a lui, anche se quello che non sapeva allora era il modo, l’accadimento con il quale l'amore avrebbe mostrato di nuovo il proprio volto.
Stacco. La macchina da presa ci riporta sul tir in viaggio attraverso l'Europa. Nico deglutisce; avverte il calore del respiro di Roy, ma anche la sua assenza, di quella sera a Roma, in quell'ostello nei pressi della Stazione Termini.
È come se l’enormità di quello che ha dovuto sopportare lo stia devastando dentro dalla sofferenza. Nico stringe le mani sul volante, le stringe talmente forte da sentire dolore...
Lo stesso dolore insopportabile alle tempie che solo qualche anno prima lui ha avvertito, violentissimo, nel momento in cui ai piedi della bara di Nico s’è reso conto di essere un uomo, e non più quel ragazzo immortale ancorato alla sua adolescenza, nei suoi miti, nelle sue illusioni. E Roy ha fatto parte di quelle illusioni. Di colpo ha paura. Si piega sulla bara, e piange come un bambino che si abbandona al sollievo di un pianto liberatorio. Piange, e pensa alla madre, e la vede con il pensiero. E si sente come un feto abortito.
Stacco. Una sera addietro tra le tante, Roy prende la moto e la lancia lungo le piccole e dritte strade deserte della provincia. Si sente forte, si sente nel giusto, si sente potente. Nell’aria c’è il profumo dell’autunno e la nebbia sale dai campi in procinto di addormentarsi. Alla fine arriva in quel casolare di campagna mezzo diroccato. Lascia la moto in fondo al viottolo sterrato. Nessuna luce, il buio della campagna, la nebbia così fitta che adesso si taglia con il coltello.
“Merda” pensa. “Cazzo di posto è?”
Poi vede due macchine e altre moto parcheggiate nello spiazzo sterrato davanti alla casa. Si apre una porta, nel buio la luce di una torcia, e una voce dice di fare presto e di entrare. Dentro, un tipo sulla ventina, belloccio ma che puzza di sudore da far schifo, lo squadra di traverso e gli chiede se lo manda Ricky. Roy fa sì con la testa e domanda dove può trovare della roba, subito. L’altro gli fa cenno di seguirlo al piano superiore.
Di sopra, in un stanzone illuminato da lanterne da campeggio dislocate qua e là, c’è gente sdraiata su materassi in terra, ammuffiti e lacerati. Saranno una decina di ragazzi, tutti maschi, e Roy si rende subito conto che almeno la metà di loro è completamente strafatta. L’odore d’erba è nauseante, e la troppa stagnola accartocciata in giro gli fa capire che si sono fatti anche in vena. Roy rabbrividisce e le gambe cominciano a tremargli.
Un ragazzo magrissimo, un po’ di barba sotto il mento, occhi spillati, si alza da terra, tira fuori il cazzo dai jeans e piscia contro il muro, in un punto della stanza dove si capisce che altri lo hanno già fatto. Intanto il tipo di prima, quello di guardia alla porta, è sparito. Il ragazzo magrissimo invece, gli si avvicina scrollandosi il cazzo, e gli dice di succhiarglielo, che si accontenta di poco, di una bustina.
“Dove cazzo sono finito?” pensa tra sé e sé.
Roy non sa se quello che sente è paura o disagio, di più, male. Il tipo magrissimo gli sbatte il cazzo in faccia, e gli diventa anche duro. Poi spintona Nico sul materasso, e inizia a toccarlo. Altri due lo trattengono a forza, mentre il tipo magrisimo gli caccia in gola una pastiglia e poi gli infila dentro la lingua e una marea di saliva e gli aderisce la bocca contro per impedire che sputi. Roy si sente soffocare, trattiene a malapena un conato di vomito.
All’improvviso avverte una sensazione di caldo, una piacevole sensazione di caldo per tutto il corpo, e comincia a sciogliersi. Tutta la tensione accumulata prima comincia ad allentarsi. Si sente bene e accetta anche di farselo prendere in bocca dal tipo magrissimo, gli piace quello che gli sta facendo; e accetta del fumo, e mastica delle foglie marroni, e poi fuma di nuovo. Ora le facce che gli stanno intorno gli sembrano un po’ più diverse, e un po’ più amiche. Si sta lasciando andare; dopotutto quello che vuole, anche se inconsciamente, è dimenticare Nico. E se stare lì tutta la notte in quello stato lo aiuta a dimenticare, avrebbe tirato mattino con loro.
Sta quasi abbandonandosi completamente alle sue visioni quando sente crescergli dentro un disagio improvviso, o forse qualcosa di più. Quelle facce cominciano a deformarsi e a ritornare ostili, scure, malvagie. Quei corpi all’ammasso lo stanno molestando, e se lo vogliono fottere in mille modi, sbracati e mezzi nudi su quei materassi ammuffiti che sanno di piscio, e sperma, e fumo. E inizia a sentire freddo - tanto freddo intorno e dentro di sé, sempre di più, con intensità spasmodica - e il suo sangue raffreddarsi. Un tremore lo scuote all'improvviso dal profondo, e gli sale in testa, e lo penetra trapassandogli il cervello.
Intanto intorno tutto prende a vibrare al ritmo del suo respiro affrettato, i contorni a sfumare, e lentamente il tremolio gli annebbia la vista. Sente le cellule cerebrali bruciarsi, schizzare, sente di impazzire, dissolversi, farsi sempre più piccolo. Vede le pareti inclinarsi, mettersi fuori asse; e poi come se dal pavimento salissero pezzi scomposti di corpi umani, braccia gambe mani occhi bocche piedi cazzi in erezione; come se da sotto a quel pavimento cadaveri putrefatti cercassero di prendere vita e attraverso mille piccole ferite sanguinanti volessero tutti insieme entrare nel suo corpo e possederlo incastrandosi perfettamente come tanti pezzettini di un puzzle. La vertigine lo trascina in un gorgo senza fine, profondo e inarrestabile.
E tutto accade mentre una parte di sé è ancora consapevole di esistere, e che niente di quello che sta accadendo in quel casolare fuori dal mondo sia davvero nella realtà. Non riesce a capire, a comprendere però, ma solo a vedere con gli occhi sbarrati. Eppure sta accadendo. Eppure lui adesso trema tutto ed è madido di sudore e di altro, completamente nudo e dolorante, mentre si vede andare a fondo in un mare increspato e i colori cambiare tonalità sotto i suoi occhi, e tutto diventare sempre più saturo, più scuro, fino a scomparire nella luce che la sua desolazione, per la mancanza dell’altro, ha già spento da tempo.
Non è più nessuno e nulla. Improvvisamente si vede dall'alto, anche se solo per un attimo, anche se dall’esterno, anche se da molto distante, si vede su quel materasso, tra quella gente, in quella stanza, e sente un senso di sospensione enorme, grandissimo, fra la terra e il cielo...
È il venir meno della vita. È la morte.