
UN ATTIMO FIGURATO
CAPITOLO 2 (DURANTE)
Vediamo il camion proseguire indisturbato la sua corsa in autostrada. Nico è disteso sul sedile del passeggero. Michele è al volante ormai da ore e spera che il socio gli dia il cambio quanto prima. Per tutto quel tempo, però, non ha mai smesso di osservarlo.
Lo vede in silenzio e pensoso; Michele è un tipo che ha imparato a farsi i fatti suoi e a non parlare se non gli viene richiesto. Ma nutre affetto per quel ragazzone, gli vuole bene come a un figlio; gli pare diverso in questo viaggio e vorrebbe aiutarlo. Michele si volta, lo guarda come se lo vedesse per la prima volta. Ha gli occhi chiusi, capisce che è meglio così, e lo lascia riposare.
Nico ha sì gli occhi chiusi, ma è sveglio. E sente il respiro di Michele. Però Nico è altrove. La sua mente è altrove.
Stacco. Si vede fermo davanti all’ingresso del Bistrot Casablanca; Roy e lui lo frequentavano spesso in quegli anni. Sente persino i denti battere dal freddo e quei brividi, quella sensazione di umido che si prova solo dalle sue parti nelle serate di nebbia a novembre inoltrato.
Ora è dentro al caldo, e si lascia avvolgere dalla confusione ovattata e accogliente del locale; fuori la nebbia è cresciuta e il paesaggio notturno risulta irreale. Vede i soliti, seduti ai soliti tavoli o appogiati al solito bancone del bar; e poi più in là i più fighi, quelli che si atteggiano attorno al bigliardo a tirare di stecca. Se è fortunato - ma quella sera non lo è - ci può trovare anche qualche giovane bohémien, lì a farsi un buon bicchiere di Chardonnay, di fianco alla stufa a legna in maiolica.
Nico si raffigura tutto questo zigzagare tra scarpe, volti, occhi, capelli, immagini sfocate - incredibilmente vicine ma del tutto evanescenti - non frammentandolo in diverse inquadrature, ma attraverso una lunga ripresa continua in profondità di campo; un piano sequenza dove la tensione e l’azione del ricordare si fanno progressivamente sempre più reali, senza un solo stacco di montaggio tra il progredire della tensione e l’oggettiva continuità della sua durata. E nota particolari che non avrebbe mai pensato di avere archiviato sul disco rigido dei ricordi. Rimane a fissare quelle rappresentazioni - tra il reale e il fittizio - mano a mano che si gli concretizzano davanti con una velocità di connessione impressionante.
Di colpo un cambio sequenza repentino, da un evento a un altro. Roy è seduto al tavolo vicino alla vecchia stufa. Nico si vede andargli incontro in dissolvenza. Dribbla le persone con un talento innato; vede Giusy dietro il bancone del bar che gli sorride e gli soffia un bacio; vede Mirko e Gabri e poi scorge gli altri ragazzi della squadra di calcetto; e poi ancora lui che abbraccia alcune ragazze; ma tutto è distante, estraneo, anche se incredibilmente reale. Adesso Nico ha paura, una paura che scende piano come un'ombra cupa, la stessa paura che prova un animale fuori dal branco. Chiude gli occhi.
“Nico! Nicoooo!” Qualcuno lo chiama. E nel delirio di questa allucinazione, sente il suo nome amplificarsi dentro di sé come un urlo fuori campo che sale, sale, sale... È Clara; ora gli è vicina. Gli sorride. Si abbracciano. Si baciano. Si sentono al centro dell'interesse.
Roy alza la testa e li vede. Ha un attimo di struggimento. Nico se ne accorge. Si stacca dall’abbraccio. Indietreggia di alcuni passi. Clara e lui si girano all’unisono verso Roy, come attirati entrambi da un richiamo in codice.
“C’è Roy...”, dice Clara. Nico scuote la testa, mentre il suo volto si disgrega come quando in un film si chiude lo split-screen e se ne apre un altro.
Stacco. A Nico sembra proprio di stare dentro a un film; guarda questa proiezione irreale con uno sguardo spento, fissando il parabrezza del camion come fosse il grande schermo del multisala dove va di solito.
Stacco. Siamo di nuovo in birreria. Nico ha raggiunto Roy.
“Sempre sui fumetti?” domanda Nico mettendosi a sedere.
“Sei in ritardo” dice Roy senza alzare lo sguardo.
“C’è sempre l’ultima proiezione…”
“Per te c'è sempre un modo alterntivo di fare una cosa: ora l'uno ora l'altra.”
“Cosa hai adesso?” gli mugugna con un atteggiamento affatto condiscendente.
“'C'è che usi gli altri come cazzo ti pare, e poi li butti via... Ecco cosa c'è!” dice tutto d'un fiato. Poi si alza di scatto puntandogli il dito contro.
Nico gli afferra il polso.
“Attento che ti fai male...” E glielo stringe con violenza fino a farlo urlare dal dolore. “Mi hai proprio rotto, tu e le tue cagate.” Aggiunge con cattiveria mollando la presa.
Stacco. Di colpo passiamo da una location a un'altra. E la scena di questo film immaginario scivola via dalla mente di Nico, mentre le inquadrature successive si sovrappongono alle precedenti con tratti rapidi e quel solito rumore amplificato di spostamento d'aria.
Nico e Roy sono ora fuori dal bistrot.
La notte è fredda, l'inverno inizia a farsi sentire. Le luci che provengono dai lampioni hanno colori innaturali e si riflettono sul lastricato lucido dall'umidità della nebbia spessa e fitta di quelle parti. I due ragazzi camminano lentamente e i loro passi rimbombano sotto i portici della città vecchia. Visti dall’alto così, imbacuccati e con le mani in tasca, ora i due amici sono come un tutt’uno fermi sotto il cono di luce di quel lampione.
“Perché mi scopi?” domanda Roy di colpo. “Sai, me lo chiedo spesso... Ne ho abbastanza.”
Se Nico avesse studiato latino troverebbe un senso nella citazione lupus in fabula. Invece di latino non ne sa una pezza, come direbbe lui; però conosce bene Roy, che invece il latino l’ha studiato, e non fa domande buttate là tanto per farle.
“Cazzo c’entra questa cosa adesso” risponde Nico, con un tono frettoloso.
“Sai...” ribatte Roy, “Oscar Wilde chiamava l’amore carnale fra due uomini l’amore che non osa dire il suo nome.”
Nico sta zitto. Anche perché non ha idea chi sia questo Oscar Wilde. I loro sguardi, però, s'incrociano per un attimo. Allora Roy si affretta ad aggiungere:
“Nico, io devo sapere da che parte stai.”
“Clara sa di noi?” riprende Nico tutto d'un fiato; il tono della voce è quello di chi è pronto a dimostrare quanto vale. Non aspetta la risposta e rilancia. “E poi dimmi, cazzo significa che hai bisogno di sapere da che parte sto?”
Roy tace; è lì in piedi, lo sguardo puntato sull'amico. Allora Nico alzando di poco l'asticella, riprende lentamente con un tono remissivo, quasi sdolcinato, contradicendo la sua indole provocatoria, sadica e masochista. Deglutisce cercando di non tradire emozioni e recuperare la fiducia dell'amico.
“Perché vuoi complicare così le cose... Sì okay, mi piace farmi tua sorella... Sì ma, è che mi piace scopare anche con te, e quello che provo per te… non so come dirlo, quello che provo per te è unico e non me lo so spiegare... Insomma non credi che il nostro stare insieme va al di là di ogni ragionevole spiegazione?”
“Al di là di ogni ragionevole spiegazione...” taglia corto Roy. “Provi questo quando siamo nudi uno vicino all'altro a letto? Non c'è niente da spiegare in una relazione se non il modo d’essere dell’uno rispetto all’altro. Se due stanno sempre assieme, vuol dire che si trovano bene... Nico il tuo sentimento nei miei confronti è diventato tossico.”
Nessun segno di vita in questa parte della città, a quest'ora della notte, neanche per sbaglio, tranne loro due. Roy vuole andare via, lontano da lì, e sta per farlo. L'altro lo trattiene per un braccio. Lo sguardo di Roy non chiede sconti, né repliche; quello sguardo che Nico gli ha visto altre volte e ha imparato a conoscere.
Lui ora sa che Roy lo ha messo di fronte a una risposta che implica una scelta, una sola e quella; e sa anche che questa volta non può mentire né tantomeno sottrarsi dal ripondergli. Si morde il labbro Nico, sbatte i piedi sul selciato, ma sta zitto. Perché vuole complicare così le cose, pensa tra sé, può darsi che se ci penso mi vergogno... Allora quel che fa è di abbracciare l’amico, attirandolo a sé con un sospiro di sollievo.
Se qualcuno passasse di là a quest'ora della notte e li vedesse così, abbracciati nella nebbia spessa e fitta di quelle parti, appoggiati alle transenne di ferro che separano il porticato dalla strada e illuminati appena dalle luci dei lampioni, bè quel qualcuno penserebbe che sono due ragazzi innamorati.
“Nico...” dice Roy, “tu mi piaci, ti desidero nello stesso modo col quale Clara ti desidera; in quello stesso identico modo col quale un ragazzo ama una ragazza. Ho bisogno di altri uguali a me, di altri che riescono a condividere le mie stesse emozioni, i miei stessi impulsi...senza vergognarsi.”
Nico adesso fa esattamente quello che farebbe se ci fosse Clara al posto di Roy. Gli alza il viso appoggiando entrambe le mani sul bordo del mento, e lo bacia in fronte.
“Va tutto bene” gli sussurra all’orecchio. “Stai a dormire da me...”
La macchina da presa stringe sui loro volti. Nico a sinistra, Roy a destra. Vediamo le loro labbra, carnose quelle di Nico e sottili quelle dell'altro, così vicine che non ci passerebbe neppure un dito scarno; quasi in un fermo immagine spasmodico dai movimenti lenti e calibrati. Poi le loro labbra si toccano, per dischiudersi a un bacio liberatorio. In quell'istante, le campane del Duomo rintoccano la mezzanotte.
E i ricordi di Nico, come il frame di un film, si dissolvono a nero.